Guido D’Ippolito: Uomo generoso, inimitabile campione.

“Eravamo a tavola. All’epoca, fra il 1929-30, abitavamo in viale stazione, vicino all’albergo <Moderno>, nello stesso edificio del dottor Orlando Arrotta. Stavamo quindi pranzando allorché sentimmo bussare alla porta. Si presentò un individuo piuttosto malmesso. Mio padre lo fece entrare. “Sono un napoletano, - disse l’inatteso ospite - ero venuto qui alla ricerca di lavoro, ma non ne ho trovato. Adesso sto facendo una colletta per rientrare nella mia città, il biglietto del treno costa otto lire”. Papà disse a mia madre di dargli da mangiare e dei vestiti puliti. Dopo si rivolse all’ospite:”Ecco 50 lire. Compratevi un paio di scarpe. Quelle che avete sono strette. Con il resto fatevi il biglietto”. Ricordo ancora, come se fosse adesso, l’espressione di quell’uomo che rimase stupito da tanta generosità e non sapeva come  ringraziare, tentò finanche di baciare le mani. Papà era di una bontà unica. Con noi figli era molto affettuoso, mi portava spesso nella sua macchina di allenamento che teneva qui, l’Alfa 1750”.

Il papà in questione era il grande Guido D’Ippolito, uno dei più eccelsi  piloti italiani nella storia dell’automobilismo (era considerato il migliore stradista del mondo). Ci sembra giusto ricordarlo anche quest’anno, in occasione della seconda cronoscalata del Reventino, in cui un trofeo, quello riservato al migliore pilota lametino, è intitolato a lui e poi perché il risvegliato entusiasmo attorno al movimento motoristico nella città di Lamezia non può prescindere dalla conoscenza diretta o indiretta di una figura come D’Ippolito. E’ giusto che i giovani si appassionino alle cose attuali, ma è bene sapere  che la crescente evoluzione è stata possibile grazie ad un retroterra prestigioso. Con il figlio, il prof. Enrico D‘Ippolito, abbiamo voluto tratteggiare anche l’aspetto umano del nostro illustre concittadino

“Triste il destino che accomunò mio padre  a Luigi Arcangeli, il famoso <leone di Romagna> che era stato suo compagno di Accademia Automobilistica di Torino (per guidare i <mostri d’acciaio>, all’epoca occorrevano due anni di Accademia), compagno di guerra nel terzo autoreparto <Duca degli Abruzzi>, compagno quindi di scuderia e tragicamente compagno di morte. Arcangeli morì infatti appena sei mesi prima”

“Mio padre,  nato a Nicastro nel 1894,  morì  l’8 ottobre 1933  nella <Coppa d’Oro Principessa di Piemonte>. La notizia della tragedia l’apprendemmo dalla radio. A Nicastro fu proclamato il lutto cittadino. Arrivarono le corone di fiori del Re, dei Principi di Piemonte, tutti i piloti della Ferrari, Nuvolari compreso. Mia madre Antonietta è vissuta fino a 102 anni e due mesi. Era una donna semplice, una popolana, che aveva accettato sempre supinamente tutte le decisioni del marito. Era anche una donna bellissima e quando rimase vedova, ricevette diverse offerte di matrimonio, ma era una donna all’antica e l’attaccamento verso mio padre era così grande che non ha voluto saperne. Il giorno della sua tumulazione, scoprimmo la bara di mio padre, e con grande sorpresa trovammo il suo corpo ancora intatto”

“Mio padre è stato uno dei soci fondatori della Vigor, il cui capitano era Pietro Baccari. Il legame si consolidò in quanto un fratello, Antonio Baccari, era il meccanico di mio padre, che ricoprì anche la carica di vicepresidente della società biancoverde. Questo e anche il fatto di essere considerato la massima espressione sportiva della Calabria, ha indotto l’intitolazione dello stadio con il suo nome. Devo dichiararmi soddisfatto comunque di come sono state  nel tempo ricordate le gesta di mio padre”

 Giuseppe Zangari -  Antonio Scalise
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